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NEW DESIGN 2015 14

ingredienti “naturali” – e declinarlo in un sistema

produttivo domestico e/o artigianale, per poi

“tradurlo” nei modi industriali guidato in particolare

dai vincoli produttivi –, in questo periodo invece

prende le mosse soprattutto da una esigenza di

“funzionalità totale”. Così succede ad esempio per

dado, latte in polvere, lievito, liofilizzati, cioccolato e

caffè istantaneo, per i quali non vi è più la continuità

fra artigianato e industria ma una riformulazione

esclusivamente industriale.

A questo punto il prodotto, da una parte configura una

“promessa di uniformità”, di alta qualità costante nel

tempo, frutto di verifiche e continui miglioramenti,

garantiti dalla standardizzazione operata dal processo

industriale; dall’altra risulta essere un “oggetto

programmato”, costruito per addizioni e processi

trasformativi, i cui valore si lega ai suoi requisiti

(sensoriali, vitaminici, economici) e alle sue apparenze.

Una direzione che porta al design di forme iconiche

e riconoscibili (come avviene ad esempio con i

biscotti Plasmon o il pavesino, il formaggino Mio, la

caramella Rossana, il cioccolatino Bacio, etc.) e ancora

a un progetto unitario di forma/prodotto/marca

dell’azienda. Strategie d’impresa, marketing, pubblicità

e design divengono strumenti di un sistema coordinato

di azioni, dove la definizione delle priorità fra i

fattori da privilegiare e la rilevanza delle competenze

determina di volta in volta i caratteri complessivi

dell’identità dell’impresa (qualitativi, economici,

comunicativi etc.).

Va a questo punto sottolineato come alla definizione

del prodotto modernista, e poi consumista, forniscono

un contributo decisivo gli strumenti della progettazione

visiva, della comunicazione e della pubblicità. Le

aziende alimentari infatti si dotano in maniera definitiva

di uffici interni dedicati ad occuparsi di tali aspetti

oppure fanno ricorso a studi ed agenzie esterne.

A partire dal secondo dopoguerra, a fianco dei

prodotti modernisti, si avvia l’ideazione di artefatti

rispondenti alle differenti condizioni di vita, derivate

dall’assunzione sempre più manifesta delle logiche

stringenti dell’organizzazione economica capitalistica e

consumistica. Ciò si traduce nella necessità di ricambio

continuo e veloce delle merci che viene alimentata

da sempre nuovi prodotti sostenuti da (“scientifici”)

strumenti di marketing, comunicazione, pubblicità e

vendita.

Nel corso dei decenni cinquanta e sessanta cambia

il modello alimentare, offrendo largo spazio ai

prodotti confezionati e a quelli in scatola, supportati

dal processo di omologazione culturale operata

soprattutto attraverso i mass media. A cominciare

dal ruolo delle pubblicità tramesse in televisione – le

trasmissioni Rai si avviano su scala nazionale nel 1954

– soprattutto con il programma

Carosello

, iniziato nel

1957.

I prodotti nuovi e più significativi sono dolci e bevande

emblematici per comprendere il mutamento dei

modelli alimentari, realizzatosi già nel corso degli anni

cinquanta.

Nel consumo veloce ad attrattiva elevata si inserisce

l’eccellenza italiana del gelato, sia con la produzione

artigianale delle botteghe che con quella dei prodotti

seriali, dal ricoperto al cornetto. Un discorso che vale

anche per lo sviluppo delle bevande derivate da frutti e

agrumi, come aranciata, cedrata e chinotto.

L’altra peculiarità italiana dell’aperitivo trova

declinazione industriale nei cosiddetti premixed

(come il Campari Soda), bevande già pronte all’uso,

che segnano l’attenzione a nuovi comportamenti e

abitudini, legati alle modificazione dei modi di vita

e confermata dall’affermazione della tipologia dei

prodotti monodose e degli snacks (dalle patatine ai

crackers

).

NUOVI GUSTI E COMPORTAMENTI

PER I PRODOTTI CONTEMPORANEI

Gli artefatti alimentari hanno di frequente

saputo anticipare o interpretare al meglio i

cambiamenti socio, economico, culturali e progettuali

che segnano l’ultimo trentennio del Novecento e

l’inizio del nuovo Millennio: sia per quanto riguarda

la capacità di declinare nuovi prodotti o dimensioni

organolettiche-visive del gusto (dalla crema alla

nocciola Nutella al gelato Magnum); sia per l’adozione

di nuovi comportamenti, come quelli che hanno

portato all’affermarsi del prodotto monodose-

monoporzione; sia ancora al progetto in relazione

alle nuove condizioni tecnologiche, conservative o

produttive (dal surgelato al sottovuoto, al precotto).

Il fatto che il prodotto alimentare si presenti e

venga fruito in una dimensione integrale e integrata

(tutti gli elementi componenti “esistono” assieme

e contemporaneamente) ha confermato o esaltato

la rilevanza (talvolta anche rispetto al contenuto)

dell’imballaggio e della comunicazione con un ruolo

decisivo identitario giocato dal packaging, spazio

privilegiato di ricerca e sperimentazione per la

costruzione di identità del prodotto.

Tutto ciò porta a riconoscere nel

food product design

contemporaneo (ma in tutta evidenze si tratta di

dinamiche generali per gli “artefatti estetici” dentro

le condizioni di un’”economia del simbolico”) almeno

due direzioni che corrispondono ad altrettante idee

progettuali-produttive-commerciali. Da una parte vi

sono i prodotti storici, o progettati ex-novo in una

logica

long seller

, sottoposti a processo continuo di

affinamento, di

fine tuning

che di frequente fondano

significato e valore sulla qualità riconosciuta di durata

ALBERTO BASSI