NEW DESIGN 2015 10
È il terzo anno che siamo insieme, quasi un
sodalizio, mentre per quanto riguarda il premio si
tratta della vostra sesta edizione. Mi hanno detto
che l’allestimento delle vostre opere nella zona
“educational” all’Arsenale è stato apprezzato, come mi
è stato riferito che sono stati molto apprezzati i lavori
presentati, il che è ancora più importante.
Però, come dire, dell’incontro tra noi l’allestimento è
un po’ il simbolo. Anche noi, in fine dei conti, siamo
dei grandi allestitori, dobbiamo aver immaginazione per
individuare le linee da seguire ogni volta che dobbiamo
organizzare una mostra. Dobbiamo certamente avere
una linea culturale, un indirizzo di ricerca e d’indagine
perché, ricordate sempre, la parola fondamentale per
tutti noi, e voi compresi, è la parola ricerca. Mai si
smette di ricercare, mai. Anzi, l’ansia di ricerca è l’ansia
che deve essere connaturata con chi fa della creazione
e della creatività il proprio scopo nella vita.
Noi certamente siamo una istituzione di ricerca,
però questa ricerca si manifesta anche attraverso
gli allestimenti, e quindi se siamo riusciti a dare una
soddisfacente risposta al modo come i vostri lavori
sono presentati, questo ci fa molto piacere.
Visto che siamo insieme per pochi minuti,
soffermiamoci brevemente su alcuni temi di comune
riflessione.
Viviamo tutti in un paese nel quale parole quali cultura,
creatività, e simili, sono da tempo molto abusate. Se
ne fa un uso spropositato. Si dilata talmente l’uso
di queste parole che si finisce con il dilatarne oltre
misura la gamma dei possibili significati, fino a rendere
queste parole più fonte di equivoci, che non fonte di
illuminazione o strumento di lucido ragionamento.
Prendete la parola cultura. Per me la parola cultura
ha sempre significato soltanto la fatica del ricercare,
la fatica del conoscere, la fatica del creare. Oggi
cultura nel gergo comune è quasi tutto. Si confonde
ad esempio cultura con lo stile di vita. Uno che mangia
bene, che va a teatro, che passeggia per i centri storici
fa cultura!. E’ mai possibile che si faccia cultura sia
studiando un capitolo di Kant, sia mangiando un piatto
raffinato fatto da un cuoco raffinato (visto che anche
l’enogastronomia l’abbiamo infilata dentro la cultura)?
Stiamo attenti ad abusare delle parole. Una cosa è lo
stile di vita una cosa la cultura. Paradossalmente, la
parola cultura dovrebbe avere come primo impegno
in chi la usa la chiarezza del linguaggio, perché non
esiste cultura senza la chiarezza del linguaggio; Ed ecco
che proprio con la parola cultura inciampiamo nella
genericità, nella vacuità e quindi nella contraddizione.
Lo stesso vale per la parola creatività. La parola
creatività viene usata in generale per indicare un
fenomeno di mobilitazione delle cellule intellettuali
per inventare cose e per farle più strane e più diverse.
Nello stesso tempo, la creatività viene considerata
un fenomeno riconducibile a fatti esterni per cui
esistono etnie, razze e culture che hanno la creatività
dentro di sè (e altre no?). E quindi noi italiani, ad
esempio, ci autocelebriamo come favoriti da qualche
strana fata che ha percorso il nostro paese perché
ci autodefiniamo un popolo dotato di creatività.
Perchè questo? Forse perché il nostro passato ci
favorisce? Quasi che solo passeggiando davanti a
edifici storici e a beni culturali di cui siamo ricchi
ereditieri, assimiliamo la creatività?. Queste sono
banalità. La creatività sta nella creazione. La creatività
non esiste fuori dalla creazione. E noi qui in Biennale
insistiamo molto su questo concetto quando facciamo
attività di formazione. E’ nell’impegno del creare
che si manifesta la capacità di superare quello che
LO SPIRITO
DEL TEMPO
di
Paolo Baratta
Presidente della Biennale di Venezia