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zero), infatti costituisce un elemento identitario e
qualificante ma che assume appieno significato e
valore quando è collocato dentro le logiche del sistema
capitalistico e consumistico, determinatesi a partire
dall’epoca industriale.
Per gli artefatti alimentari esistono ancora peculiarità,
come l’obbligata complementarietà e istantaneità del
manifestarsi degli elementi costitutivi, dall’identità
del prodotto come cibo e come merce alle strategie
complessive d’impresa e alla loro declinazione
nei differenti strumenti del progetto: il prodotto
alimentare insomma esiste come un tutto unitario.
Il contenuto-cibo non è sfuso ma è posto dentro
un contenitore, un imballaggio esito di un apposito
progetto, più o meno direttamente collegato a
materiali-tecnologie-forme. Sul packaging, ma di
frequente anche direttamente sul prodotto, si declina
l’identità di marca e la comunicazione visiva: etichetta
e brand, informazioni sul contenuto organolettico e gli
ingredienti fino alle istruzioni per l’uso.
All’interno di questi contesti e logiche generali, i modi
di configurarsi dei contributi progettuali risultano assai
differenziati: si tratta di apporti a volte espliciti, ma
nella maggioranza dei casi esito di una sorta di lavoro
processuale collettivo e/o anonimo che vede operare
assieme imprenditori, uomini d’azienda, ricercatori
industriali, progettisti, grafici, comunicatori e così
via. In relazione alle differenti condizioni, di volta
in volta emerge un intervento complessivo oppure
singoli elementi, come ad esempio il packaging, il
visual design, il disegno della forma o del contenuto
alimentare.
DALL’ALIMENTO MODERNISTA
AL PRODOTTOCONSUMISTA
Allo scopo di presentare i primi elementi di
una storia del progetto del prodotto alimentare in
Italia è utile introdurre alcune scansioni temporali
fondamentali, che configurano differenti momenti
di pensare, produrre, distribuire e consumare, e al
contempo segnalano sinteticamente elementi utili a
intendere gli ambiti dentro cui si colloca il progetto
dell’alimento.
E’ possibile identificare una fase precedente l’avvento
dell’industria e dunque delle modalità intrinseche e
necessarie di esistenza dei prodotti, che ci permettono
di riconoscere percorsi e prassi progettuale impliciti,
spontanei e “naturali”. Si assiste poi da una parte
alla “traduzione” industriale a cavallo fra Ottocento
e Novecento di molti prodotti già esistenti dentro un
contesto (non solo di manifattura) artigianale (dalla
pasta ai dolci, come Pandoro (1890 ca) o Panettone
(1919)); dall’altra l’affermazione in epoca moderna e
modernista delle aziende alimentari e di nuovi prodotti.
La condizione contemporanea indica infine la
consapevolezza di modalità plurali di progetto e
fruizione del cibo, segnato in Italia dall’affermazione di
un “altro” sistema attorno all’alimentazione (biologico,
slow, tradizionale, tipico e così via) che permette
di indagare significative trasformazioni del sistema
economico, del mercato delle merci e del ruolo del
progetto.
Per l’avvio di una metodologia e prassi di design
complessivo e integrato del prodotto alimentare
è fondamentale il periodo fra le guerre mondiali,
già segnato dal punto di vista della cultura dalla
consapevolezza e dall’orgoglio del ruolo che possono
assumere gli strumenti progettuali nel percorso
di costruzione di una società Moderna (dalla
pianificazione all’architettura, al design), ma anche
quelli espressivi (arte, musica, cinema, fotografia o
teatro), perché in grado di dialogare con le epocali
trasformazioni in campo scientifico, tecnologico,
economico e sociale.
Gli artefatti alimentari progettati in quella fase sono,
a tutti gli effetti, frutto di tali logiche moderniste,
perlopiù privi o con ridotti riferimenti a tipologie e
morfologie della tradizione. Prodotti che nascono in
relazione ai diversi sistemi tecnologico-produttivi, con
ricerche e soluzioni di frequente coperte da brevetti,
collegati ai rinnovati modi dell’abitare e alimentarsi
negli spazi domestici, collettivi e pubblici, ai variati
comportamenti e condizioni economiche, sociali e
culturali.
Si possono identificare due tipologie, che in larga
parte corrispondono al periodo rispettivamente ante
e post conflitto: da una parte si collocano i prodotti
legati a criteri progettuali-produttivi esito di un’idea in
qualche modo “assoluta” dell’artefatto alimentare (con
riferimento esplicito all’artificialità e alle morfologie
geometriche); dall’altra quelli destinati a entrare
nelle dinamiche consumistiche, come anticipazione e
risultato di un passaggio da bisogno a desiderabilità,
appetibilità e seduzione.
Molti artefatti modernisti sono concepiti in una
logica “astratta” rispetto all’ingrediente naturale
– in un processo di rielaborazione dove la forma è
indipendente rispetto al suo contenuto, ad esempio
il dado rispetto alla carne – e si costruiscono in
relazione a esigenze specifiche, talvolta declinando
anche principi della ricerca medica riferiti alla salute,
al benessere psicofisico, all’integrazione alimentare in
un fase di carenza per quanto riguarda l’assunzione di
sostanze ed elementi chimico-fisici necessari a una
buona nutrizione.
Se nella fase originaria della storia dell’industria il
progetto dell’artefatto alimentare muoveva dalle
necessità di definire un prodotto composto da