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i giorni mentre si trascinano malvolentieri a scuola.
Muri perfetti per tracciare i loro segni, affidando ai
graffiti il racconto della loro rabbia. Sono studenti
che vanno a scuola malvolentieri, giovani che non
prevedono un futuro nel quale lo studio possa
garantire loro qualcosa, ragazze e ragazzi marginali,
ai quali la vita non ha sorriso, nella difficile periferia
in cui vivono.
La proposta degli insegnanti è spiazzante, un
contropiede riuscito. Viene loro richiesto di fare, alla
luce del sole, quanto sognavano di fare di nascosto,
come sfida.
C’è bisogno di loro per rendere bello un edificio
anonimo. Sono disponibili?
Gli studenti accettano la proposta e accettano di
prepararsi per fare al meglio quanto viene richiesto.
In questo saranno aiutati dalla fondazione Mirò, che
insegna ai ragazzi ad impadronirsi della difficile arte
dei murales.
Finito il training, eccoli a scuola. A ciascuno studente
vengono affiancati, come aiutanti, due bambini della
scuoladell’infanzia. E’ un colpobassodegli insegnanti,
perché, dovendo relazionarsi con i bambini, saranno
costretti a comportarsi bene, ad essere d’esempio.
Ecco così questi tremendi adolescenti addomesticati
dallo sguardo ammirato dei piccoli, per i quali
diventano i super eroi che sanno tracciare segni
meravigliosi.
A lavoro finito, un lavoro realizzato veramente bene,
i ragazzi vengono premiati dal sindaco, ricevono il
riconoscimento di essere cittadini che hanno reso più
bello il loro quartiere.
Loro, gli emarginati, gli annoiati, i ribelli eccoli portati
ad esempio.
Insieme, questi ragazzi hanno cambiato un pezzo
della loro città, ma insieme sono cambiati, sono stati
protagonisti, cittadini che hanno reso più bello un
angolo di mondo, che si sono presi cura di persone
più piccole e fragili.
Hanno più dato, o ricevuto mettendo la loro
competenza al servizio degli altri?
La società attuale viene definita in molti modi (‘società
della conoscenza’, ‘società dell’incertezza’ ‘società
della complessità’...). Per poter vivere in questa
società serve un’attrezzatura strumentale e culturale
molto più consistente del passato. Servono gli
alfabeti funzionali, senza che però si portino appresso
la concezione pragmatistica ed utilitaristica che
spesso li accompagna; servono gli alfabeti culturali
propri di una ‘testa ben fatta’, senza però l’illusione
che le ‘teste ben fatte’ salveranno il mondo.
Hannah Arendt diceva che altro è conoscere, altro è
pensare. Pensare è più del conoscere e più del saper
fare. Ma ancora non è sufficiente, almeno se l’ideale
perseguito è quello della cittadinanza. Pensare deve
portare a valutare, valutare a decidere e decidere
vuol dire prendere posizione.
La scuola non può ‘accontentarsi’ di sviluppare
competenze tecniche e di insegnare a pensare. Se si
desidera la formazione di cittadini responsabili, che
si prendano cura della loro città e del loro pianeta, è
urgente che la formazione indirizzi all’azione, e che
l’azione sia espressione di solidarietà, di impegno per
migliorare il presente.
Non si tratta di affiancare al curricolo scolastico
qualche progetto di solidarietà, di introdurre un po’
di volontariato a margine del programma di studi,
ma di curvare l’apprendimento verso il servizio alla
comunità.
Questo grande compito può riuscire se protagonisti
saranno i giovani, le ragazze ed i ragazzi ai quali
dobbiamo chiedere di mettere la loro passione e la
loro creatività al servizio di un mondo migliore, di
far diventare realtà una possibilità che, senza il loro
impegno, non si realizzerà mai. Invece di incitarli
ad una competizione individualistica, che vede
pochi vincitori e tanti perdenti, dobbiamo aiutarli a